30 Dic, 2022 | Territorio e Cucina
Sale in zucca q.b, puntata 9
A Gianfranco Tura riesce particolarmente bene una cosa (tra le tante): veicolare nei suoi piatti tutto l’amore e la passione per il suo lavoro e per il territorio che abita e vive, l’Altopiano dei Sette Comuni. E il risultato si vede: piatti della tradizione con i migliori prodotti di Gallio, dove si trova il Ristorante Albergo Valbella. Oggi intervistiamo lui!

Ingrediente preferito?
Birra o vino?
Vino.
Cosa non manca mai nel tuo frigo:
Formaggi.
Cosa non manca mai nella tua dispensa:
Se la tua cucina fosse musica, che genere sarebbe?
Cosa ascolti mentre cucini?
Il tuo piatto preferito:
Il piatto “ritenta e sarai più fortunato”
Da chi ti faresti cucinare qualcosa?
Dalla mia mamma.
Il posto più strano in cui ti è capitato di cucinare?

2 ingredienti che vorresti abbinare prossimamente nei tuoi piatti?
Un piatto o un ingrediente che ti ricorda l’Altopiano dei Sette Comuni?
Quale parola cimbra ricordi?
De póome (gli alberi, ndr).
Preferisci portare pasiensa o fagaro?
Stai per andare in un bosco dell’Altopiano. Cosa metteresti nel rukksakh (zaino, in cimbro), che non sia cibo?
Un coltellino per raccogliere erbe o funghi.
Il tuo posto preferito sull’Altopiano dei Sette Comuni?

23 Dic, 2022 | Territorio e Cucina
Profumi, sapori e ricordi di un magico periodo
Il nostro Natale, per scelta professionale, è frenetico: ci muoviamo con largo anticipo per pensare il menu, gli abbinamenti, per fare il calcolo dei prodotti necessari “in una stagione dove la natura dà davvero poco”, per assicurarci le giuste forniture, per comunicare ai clienti le scelte, per aprire le prenotazioni, per preparare, servire, aggiustare di sale e – tra un impiattamento e una girata di mestolo – guardare la nostra brigata e ritagliarci il tempo di un brindisi. È un Natale che ci piace, ce lo siamo scelti consapevolmente.
“Tutto è in pausa, in riposo, tranne la cucina dei ristoranti che deve sfornare pranzi luculliani”
Elvis Pilati

Il Natale che fu
Ma il nostro Natale non è sempre stato così. Abbiamo anche noi osservato, da sopra la sedia, mamma “spignattare”, aiutato papà a tagliare la legna e accendere la stufa, supportato la zia nell’allestimento della tavola collocando segnaposti di discutibile eleganza, giocato a tombola fingendo l’ambo al primo numero estratto.

In un momento Amarcord, ci guardiamo indietro (ma senza rimpianti) e ci piace sintetizzare il nostro Natale così…
Il nostro Natale:
- Ha il sapore della cannella nei biscotti,
- È il profumo del chiodo di garofano intinto nel vin brûlé,
- Sa di una spolverata di zucchero a velo sul pandoro
“un torto alle tue coronarie, ma il fatto stesso di aver resistito per tutto l’anno a provare quotidianamente il piacere di un morso di pandoro ti assolve dal peccato, e non puoi non premiarti che con un overdose di dolce e morbida gioia”
cit. Lorenzo Peron
- È il gioco meticoloso dell’estrazione dei canditi dal panettone,
- È l’odore di mandarino sotto le unghie,
- È il profumo della neve sui nostri monti e dei boschi a riposo,
- È l’odore inconfondibile dell’incenso durante le celebrazioni religiose in chiesa,
- È la barchetta del guscio di noce,
- È il profumo del muschio, uno dei primi odori che si percepiscono quando ci si prepara per il Natale con l’allestimento del presepe, e uno degli ultimi quando – passata l’epifania – “si mette via tutto”,
- È un cappone ripieno di prugne e uvetta,
- È il classico cotechino con le lenticchie,
- È un piatto fumante di tortellini fatti in casa con un buon brodo di carne,
- È l’odore dei bolliti, quello pungente della lingua e quello del museto,
- È la frutta candita, la vaniglia, il cioccolato, il pistacchio, il marzapane.

Che profumi e sapori ha il vostro Natale?
30 Nov, 2022 | Territorio e Cucina
Sale in zucca q.b, puntata 8
Tra i pascoli di Asiago e Gallio spicca per il suo inconfondibile colore rosso. Parliamo di Ciori, Hotel Ristorante di Asiago.
La struttura di Domenico Pertile e famiglia ricorda una baita: arredo di legno e colori caldi, all’entrata un bancone semicircolare dove gustare un aperitivo di benvenuto, sui tavoli piatti fumanti e gustosi. Tocca proprio a lui, a Domenico, sottoporsi alla nostra consueta intervista.

Ingrediente preferito?
Birra o vino?
Vino.
Cosa non manca mai nel tuo frigo:
La cacciagione.
Cosa non manca mai nella tua dispensa:
Se la tua cucina fosse musica, che genere sarebbe?
Cosa ascolti mentre cucini?
Il tuo piatto preferito:
Il piatto “ritenta e sarai più fortunato”
Da chi ti faresti cucinare qualcosa?
Dai miei nipoti.
Il posto più strano in cui ti è capitato di cucinare?
In un roccolo [Appostamento fisso di uccellagione con reti verticali a triplice panno, con pergolato a forma di semicerchio o ferro di cavallo: è generalmente impiantato su montagne, valichi e zone collinari – fonte Treccani].

2 ingredienti che vorresti abbinare prossimamente nei tuoi piatti?
Un piatto o un ingrediente che ti ricorda l’Altopiano dei Sette Comuni?
Quale parola cimbra ricordi?
Me craut (misto di erbe).
Preferisci portare pasiensa o fagaro?
Stai per andare in un bosco dell’Altopiano. Cosa metteresti nel rukksakh (zaino, in cimbro), che non sia cibo?
Il tuo posto preferito sull’Altopiano dei Sette Comuni?

11 Nov, 2022 | Arte e Cucina, Territorio e Cucina
La cultura del cibo, il cibo nella cultura
Oggi niente ricette, interviste, racconti, ma una bella carrellata di modi di dire che quotidianamente (e inconsapevolmente) utilizziamo e che hanno a che fare con il cibo e le bevande. Sì, siamo di parte.
I proverbi gastronomici sono quelli che preferiamo. Ma sappiamo veramente a cosa si ispirano?
Vediamone 5.
1. Cade a fagiolo
Una locuzione dall’origine incerta, tanto da avere più interpretazioni.
Da sempre i fagioli sono considerati un alimento povero, facile da reperire, essiccare, conservare e utilizzare. Vasta era la loro consumazione, soprattutto sulle tavole di contadini e di monaci, sotto forma di zuppe, creme, in accompagnamento a verdure o mangiati così, cotti e con un filo d’olio. Alla mensa dei contadini erano immancabili. Per tale motivo, all’arrivo – anche improvviso – di pellegrini o viandanti, un piatto a base di fagioli era assicurato. Da qui il “capitare a fagiolo” di passanti e la certezza di un piatto pronto.
Ma il detto potrebbe anche essere legato all’utilizzo abbondante, nella cucina toscana, di questi legumi o al fatto che i fagioli erano usati per tenere i conti nelle assemblee pubbliche e durante gli scrutini.

2. Sale in zucca
Il modo di dire che ha dato vita alla nostra rubrica di interviste irriverenti si rifà ai tempi dei romani, quando le zucche, una volta svuotate ed essiccate, erano sfruttate come contenitori per il sale, alimento essenziale per la conservazione degli alimenti (il famoso “sotto sale”). Da qui chi non ha sale in zucca significa che è un contenitore vuoto, senza grande sapienza.

3. Acqua in bocca
Ovvero “mantenere un segreto”. Pare che questo detto derivi dalla storia di una donna estremamente curiosa e pettegola, incapace di mantenere i segreti. Una volta confessata, il sacerdote le “prescrisse” una boccetta di acqua santa da bere all’occasione, ovvero nel momento in cui avesse sentito l’impellente necessità di spifferare un segreto in giro.

4. A tutta birra!
L’espressione che oggi fa riferimento alla velocità, in realtà è frutto di un errore, perché è la “mala” traduzione della frase francese “à toute bride”, ovvero “a tutta briglia” in cui il termine briglia è stato erroneamente tradotto con birra.

5. Come il cavolo a merenda
Il modo di dire sinonimo di “incompatibile, poco attinente” non è altro che la concretizzazione della stessa immagine a cui fa riferimento: fare merenda con il cavolo non ha senso. L’ortaggio, che per sua natura è impegnativo da digerire, non può essere impiegato nella preparazione di una merenda, il pasto leggero e frugale per eccellenza. E così, trasportandolo a livello simbolico, significa che qualcosa non ha nulla a che fare con ciò di cui stiamo parlando e/o facendo.

28 Ott, 2022 | Territorio e Cucina
Sale in zucca q.b, puntata 7
Fuori il Museo della Grande Guerra 1915 – 1918 e l’esemplare di Vaca Mora, il trenino a vapore che saliva dalla pianura vicentina all’Altopiano dei Sette Comuni. Dentro l’eleganza degli arredi e la qualità nei servizi di ospitalità e ristorazione. Parliamo dell’Hotel Ristorante Alla Vecchia Stazione di Canove, magistralmente condotto – in cucina – dal “direttore d’orchestra” Massimo Spallino che oggi si rivela a noi.

Ingrediente preferito?
Birra o vino?
Vino.
Cosa non manca mai nel tuo frigo:
Bollicine.
Cosa non manca mai nella tua dispensa:
Se la tua cucina fosse musica, che genere sarebbe?
Cosa ascolti mentre cucini?
Il tuo piatto preferito:
Il piatto “ritenta e sarai più fortunato”
Il posto più strano in cui ti è capitato di cucinare?

2 ingredienti che vorresti abbinare prossimamente nei tuoi piatti?
Cicerbita alpina, tarassaco bianco (quello dei mucchi delle talpe).
Un piatto o un ingrediente che ti ricorda l’Altopiano dei Sette Comuni?
Polenta ai ferri, formaggio e funghi.
Quale parola cimbra ricordi?
Sono un xaletto (di città, ndr), non lo parlo.
Preferisci portare pasiensa o fagaro?
Stai per andare in un bosco dell’Altopiano. Cosa metteresti nel rukksakh (zaino, in cimbro), che non sia cibo?
Il tuo posto preferito sull’Altopiano dei Sette Comuni?

14 Ott, 2022 | Territorio e Cucina
Salumi, che bontà
Pane? C’è. Latte? C’è. Erbette? Ci sono. Legna? Pure. Ma in una cucina di montagna non può mancare la parte di proteine, ben interpretata dai salumi che chef Domenico Pertile e chef Gianmarco Munari hanno recuperato dalla cambusa. Il piccolo strato di muffa sulla superficie della sopressa (rigorosamente con una p, perché in Veneto si usa così), il grasso liscio e morbido della coppa, il profumo di affumicatura sprigionato dallo speck… tutto parla di straordinaria qualità.

Generazioni appassionate
Le due generazioni di cuochi si dirigono, così, in cucina. C’è stima, tra i due, e c’è voglia di sperimentare. Pertile, cuoco di talento “self made”, appassionato e appassionante, da Contrada Bertigo con furore, è curioso e aperto al confronto. Munari, giovane, ma non di primo pelo, regala una spinta di innovazione e di freschezza. Insomma, una combinazione perfetta. A raggiungere i nostri cuochi il maître, padrone di casa, Stefano Fracaro, assieme alla cuoca Giovanna che sintetizza tutte le precedenti azioni e imbandisce una tavola DOC e DOP.

La perfetta sintesi dell’accoglienza di montagna
Nel locale, che sa di legno di abete e caffè di moka, c’è l’accoglienza della montagna, c’è l’amore per il dettaglio, e c’è la cultura delle tradizioni. Ci sono amore, passione e fantasia, caratteri inconfondibili anche dei nostri ristoratori. Dalla cucina escono ricette della tradizione con specialità dell’Altopiano dei Sette Comuni. I piatti raccontano la storia di tre cuochi, Giorgio Mosele, Gianpaolo Slaviero e Lorenzo Peron, che si sono incontrati nel bosco e si sono diretti dal maître Fracaro con pane, latte, erbette e legna. Raccontano la stagionalità e la genuinità di un menu pensato con saggezza da parte dello stesso maître e da chef Franco Tura. Raccontano di un’attenta selezione della materia prima da parte dei cuochi Domenico Pertile e Gianmarco Munari. E raccontano una cucina di casa, perfettamente rappresentata da cuoca Giovanna. Su questi piatti c’è tutto l’Altopiano dei Sette Comuni.
